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Se per l’uomo moderno andare a teatro può essere una passione, un piacevole passatempo, talvolta una sorta di obbligo sociale venato di snobismo intellettuale, per il cittadino dell’antica Grecia aveva un significato completamente diverso. Il teatro era considerato uno dei centri della vita collettiva della polis, il luogo dell’identità culturale, politica e religiosa, che accoglieva spettacoli e manifestazioni pubbliche, investite di un fondamentale ruolo educativo.
In altre parole, nell’Atene classica il teatro non era un privilegio per pochi, ma una grande festa per tutti: una festa religiosa, sociale, politica in cui tutti erano contemporaneamente attori e spettatori.
Partendo da questa premessa, l’emozionante viaggio che Carla e Giovanni ci hanno offerto attraverso le vestigia dei teatri greci in Sicilia non deve essere visto come un tour meramente turistico ma come l’immersione nella società, nella vita quotidiana di popolazioni che ci hanno lasciato un ineguagliabile patrimonio culturale che è parte integrante del nostro essere.
E, parlando di teatro, dobbiamo precisare che la parola “thèatron” deriva dal verbo “thèaomai” = vedere, con cui veniva designato sia il luogo adatto per assistere ad uno spettacolo sia la collettività degli spettatori. Tenuto conto dell’eccezionale acustica che caratterizza tutti i teatri greci, si può anche parlare di “luogo adatto per ascoltare” e,  se templi, regge, ville, statue sono l’eredità lasciataci da molte altre civiltà, il teatro deve essere considerato un dono esclusivo della cultura greca.
Ma veniamo ad un rapido excursus storico che ci spieghi come e perché, in tempi lontani, ad una parte dello Stivale sia stato dato un nome, Magna Grecia,  che ha, tutt’oggi, una sua valenza storico-culturale.
Giunti a colonizzare le coste dell'Italia meridionale già nel VIII secolo a.C.,  i popoli venuti dall’Ellade trovarono in queste terre le condizioni propizie per un rapido sviluppo economico, militare e culturale che si espresse con la costruzione di splendide città, la cui ricchezza consentì  la realizzazione di monumenti straordinari sia per la qualità estetica sia per la loro stessa diffusione sul territorio. In sintesi, si può dire che la Magna Grecia di oggi, per il numero di templi, santuari, teatri, siti archeologici  visibili o da recuperare, può essere considerata non la “colonia”, l’antica terra di conquista, ma un’estensione della penisola elladica.
Per guidarci in questo viaggio a ritroso, alla ricerca della genesi della nostra identità culturale, Carla e Giovanni hanno cercato una guida di indiscusso valore e competenza, individuandola nel Professor Giovanni Gorini, archeologo, storico, professore di “numismatica antica”  presso l’Università di Padova, curatore dell’allestimento di vari musei e mostre, autore di molti volumi dedicati alle monete antiche, … Tratteggiare un curriculum completo ed esaustivo del Prof. Gorini probabilmente saturerebbe il sito di Magna Grecia e, quindi, passiamo alla Sua brillante esposizione che ha entusiasmato i quasi 200 ospiti che, sicuramente, non si sono pentiti di essere venuti alla Bulesca.
image002Iniziando con una rapida descrizione della distribuzione degli elementi componenti il teatro greco e cioè la cavea, destinata agli spettatori, l’orchestra, dove si svolgeva la scena e la skené, quasi una scenoteca dove venivano conservati gli oggetti necessari per la rappresentazione, il Prof. Gorini ha ricordato il grande Carlo Anti, il primo archeologo ad individuare la forma non rotonda ma trapezoidale dell’orchestra nei teatri minoico-micenei, i progenitori del teatro classico. E’ una forma che è tuttora percepibile nel teatro di Siracusa, cioè in uno dei teatri greci “attestati” dalle fonti e chiaramente individuato. Purtroppo esistono anche due strutture citate da numerosi scritti dell’epoca ma non ancora ritrovate: i teatri di Henna (Enna) e Kaukana (Ragusa). Non è dato sapere se i mancati ritrovamenti siano dovuti a difficoltà tecniche o a mancanza di risorse ma, comunque, il Prof. Gorini ha offerto alla platea anche le immagini del teatro di Akragas (Agrigento) recentemente ritrovato, la cui campagna di scavi, iniziata nel novembre 2016, è stata interrotta nel 2017 perché è mancato uno specifico stanziamento di fondi.  image004  Queste inefficienze che, purtroppo, non consentono una panoramica completa delle strutture lasciateci dall’Ellade, nulla tolgono alla bellezza di quanto, fortunatamente visibile e che ci è stato offerto dalla proiezione di  numerose slides  che hanno permesso di ammirare, citandone solo alcuni,  i teatri di Catania, situato al centro della città, di Tindari, Halaesa Arconidea, Taormina, Monte Iato, tutti di stretta derivazione ellenica.
E’ stato inoltre messo in evidenza che la conquista greca della Sicilia, come di tutte la altre aree del Sud, si è limitata alle zone litoranee e raramente si è spinta all’interno.
In Sicilia questa parziale occupazione ha permesso alle popolazioni aborigene, Sicani, Elimi e Siculi, di assorbire la cultura della Grecia, pur mantenendo un certo grado di indipendenza. Questa assimilazione degli stilemi elladici è chiaramente visibile nei teatri di Segesta, realizzato dagli Elimi, ed in quelli di Solunto ed Ippana, di origine sicana.

Al termine dell’esposizione al Professor Gorini sono state rivolte numerose domande che hanno ampiamente superato i confini della Sicilia, giungendo alla richiesta di informazioni su origine e struttura dell’anfiteatro dell’Isola Memmia di Padova.
Concludiamo con una notazione inutile,  perché riporta un parere generalizzato: la serata si è svolta in un’impeccabile cornice assicurata dallo Staff e dalla Cucina del ristorante “la Bulesca”.
Roberto Giacalone