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image001.pngMagna Grecia ha voluto dedicare una serata all’eterno femminino e, per farlo, Carla e Giovanni non potevano che scegliere un autore, Pirandello, per il quale  la donna è il centro dell’universo creativo,   il fulcro della sua visione del mondo.
Per lo scrittore, se l’uomo é il logos, la ragione,  le donne sono il bios, la personificazione della vita e, nelle sue opere, le segue in un ampio ventaglio di tipologie, dalla pubertà alla maggiore età, dalla balia, alla prostituta o alla donna vecchia e illuminata dalla fede. Pirandello entra profondamente nell’anima di ciascuna di loro, rompendo le convenzioni per far  emergere verità nascoste che, altrimenti, si potrebbero solo intuire.
Per fare solo alcuni esempi, è il caso de “l’ignota” (Come tu mi vuoi) in cui la protagonista si autodefinisce “… un corpo senza nome in attesa che qualcuno se lo prenda”, pronta ad offrirsi a chi le dia un’anima, in perpetua fuga verso una liberatoria scoperta di sé, nella consapevolezza che la vita è un continuo divenire, un mutamento senza fine, un eterno avvicendarsi di personalità cangianti.
O, ancora, della donna uccisa dall’amante (All’uscita) che, alle porte del cimitero dove è sepolta, medita fra sé ed è condannata ad una perpetua, intima lotta fra il riso amaro, suscitato dal ricordo della sua vita, ed un pianto accorato, alla vista di un bambino che mangia un melograno, simbolo della morte.
E come non ricordare Donata, la protagonista di “Trovarsi”, un’attrice che non sa riconoscersi nella realtà quotidiana e che nella vita vera si sente persa.  Neppure i sentimenti l’aiutano a trovare se stessa e solo sul palcoscenico riesce a raccontare perfettamente (e fintamente) l'amore, una finzione più intensa e reale della stessa realtà.
Comunque, la donna di Pirandello è quasi sempre al vertice di un triangolo amoroso in cui la contrapposizione fra lei, lui e l’altro può essere letta come la trasposizione dell’eterno conflitto che agita l’animo dell’essere umano.
image004.gifPoiché nel corso di una serata non era materialmente possibile dare una panoramica completa dell’universo femminile pirandelliano, è stato scelto un percorso più breve, ma ugualmente significativo, indagando sui rapporti personali dello scrittore con le donne che ha amato. A questo scopo, la Compagnia degli Inesistenti ha accompagnato i 160 presenti alla Bulesca in un appassionante viaggio dal titolo “CARE DONNE DELLA MIA VITA  - Lettere d'amore di Luigi Pirandello”.
La prima tappa di questo itinerario è stata dedicata ad Antonietta, la fidanzata, presentando una lettera nella quale, oltre all’amore per la futura moglie, già compaiono le tormentate verità che connoteranno tutta la sua produzione letteraria, come quando paragona la vita ad un immenso labirinto dove non è possibile distinguere il giusto dall’ingiusto.    
La seconda lettura  è stata dedicata a Caterina Ricci Gramitto, la madre  ormai morente, lettera nella quale Pirandello esprime tutto il suo dolore per non poterle essere accanto e non poter avere il conforto del suo sguardo. Quest’ultima testimonianza d'affetto è stata seppellita insieme a Caterina  e la sua  copia, conservata dai familiari, e' stata rintracciata nell'archivio degli eredi nel 1997.
Ovviamente il centro di questa rivisitazione non poteva essere occupato da altri che non fosseimage006.gif Marta Abba, “l’eletta”, come la definisce lo scrittore, che ebbe con lei un fittissimo scambio epistolare, più di 600 lettere.
S’erano conosciuti nel 1925, Lei una giovanissima e promettente attrice milanese di 24 anni, Lui, scrittore già affermato, stava per compierne 58.
Pirandello, nonostante la fama già acquisita, voleva mettersi alla prova anche con il teatro. Per questo aveva dato vita alla “Compagnia del teatro d’Arte” a Roma ed era alla ricerca di una “prima donna” che completasse il cast. Dopo aver letto una critica particolarmente favorevole di Marco Praga, che parlava di Marta come una giovane artista impetuosa, passionale ed esuberante decise di scritturarla. Fu l’inizio di un sodalizio che si protrasse sino alla morte e che vide una Marta Abba  insuperabile nel calarsi nei ruoli più intimi, nell’interpretare i personaggi più emblematici, nel penetrare ogni singolo spasimo di un animo complesso e tormentato, come quello di Pirandello, tanto che lei diventerà, in Italia e nel mondo, l’immagine vivente del teatro pirandelliano.
Il loro non fu un legame fisico, ma può definirsi la storia di una passione mancata. Un amore platonico vissuto da un lato, sul filo della disperazione di un uomo ormai in declino fisico, che attinge energia nella di lei  freschezza esuberante. Dall’altro è Il rapporto tra il Maestro e la sua Musa, legata indissolubilmente a colui  cui  deve la sua carriera di attrice e la sua formazione intellettuale. Per lui è passione, (“Sono come tu mi vuoi e se non mi vuoi più, io, per me stesso, non sarò più nulla e vivere non mi è più possibile”); per lei è ammirazione.
Di lei l’Autore scriverà in uno dei passi più intimi delle sue epistole: “Ho tutta la mia vita in Te, la mia arte sei Tu; senza il tuo respiro muore: Tu stai creando e non lo sai, Tu con la potenza della Tua arte, coi toni della Tua inimitabile voce, col fulgore dei tuoi occhi che trovano lo sguardo per ogni passione, stai creando con l’ardore della Tua mente, del Tuo cuore, da tutta la Tua persona è venuto in me, perché io lo trasfonda nell’opera che attraverso te sto scrivendo e che non è mia ma Tua: creazione Tua”
Le letture presentate, oltre a mettere in luce tutta la complessità e la profondità dei sentimenti provati da Pirandello per Marta ed espressi con parole spesso cupe, dettate dalla consapevolezza dei limiti che gli erano imposti dall’età, hanno posto l’accento anche sui rapporti che egli ebbe con il fascismo e con Benito Mussolini, rapporti viscerali e contraddittori,  forse dettati anche dall’esigenza improrogabile di salvare la sua arte. Da un lato lo scrittore avverte come essenziale la presenza del duce “ un uomo come lui è necessario”, dall’altro ne prende le distanze perché la complessiva indifferenza del duce di fronte alle esigenze del teatro e le conseguenti difficoltà in cui versano quasi tutte le compagnie teatrali gli fa esclamare “…  l’Italia a Pirandello taglia i viveri, e lo vessa di tasse, e rischia di farlo morir di fame”.
Per quanto riguarda la “Compagnia degli Inesistenti” possiamo dire una sola cosa: FORTUNATAMENTE ESISTONO! Già conosciuti ed apprezzati per averci accompagnato in altre incursioni nell’universo pirandelliano, proponendoci le commedie “L’uomo dal fiore in bocca” e  “L’altro figlio”,  questa volta si sono cimentati in una rappresentazione decisamente più complessa. Se per un attore può essere (teoricamente) semplice calarsi nelle vesti di un personaggio, facendo propria la trama della piece, appare decisamente più complesso trasmettere il pathos sottinteso in una lettera, una comunicazione personale, che fotografa la situazione presente, le cui connessioni con il vissuto dell’estensore possono essere percepite solo attraverso un’operazione di ricerca storico-psicologica. Operazione puntualmente portata avanti dagli “Inesistenti” che hanno saputo trasmettere agli astanti sia la sofferta, tormentata e repressa passione di Pirandello sia l’algida ammirazione che Marta Abba provava per lui.  Sensazioni, sentimenti resi perfettamente percepibili, che hanno catturato l’attenzione di tutti i presenti che hanno espresso la loro partecipazione con uno scrosciante applauso che ha accompagnato la fine della rappresentazione e l’inizio della degustazione del raffinato menù (strettamente siculo) offerto dal ristorante della Bulesca. (Roberto Giacalone)