Dopo averci fatto incontrare i balli della seconda metà dell’Ottocento, la pizzica salentina, i canti natalizi, Magna Grecia ha deciso di continuare ad esplorare l’universo musicale con un’incursione nel “pianeta delle danze popolari”, cioè nel luogo in cui cultura, vita, storia e tradizioni di una popolazione si saldano in una sintesi armonica, visivamente espressa dalle movenze dei corpi. Ma, prima di iniziare a parlare della serata che Carla e Giovanni hanno offerto ai circa 120 partecipanti, chiediamoci: cos’è la danza?
Tralasciando il significato puramente “sessuale” delle movenze con le quali molti animali (e non solo!) cercano di attrarre l’attenzione di una/un partner, limitiamo l’esame al solo ambito umano.
Se partiamo “dall’alba della storia dell’uomo” possiamo dire che la danza era una forma di preghiera con la quale si impetravano gli dei per la vittoria su un nemico, per l’esito della caccia o, ancora, per esorcizzare la paura dell’inconscio. Con il trascorrere dei millenni ha perso le sue valenze sacrali e magiche per trasformarsi in un’espressione di gioia o di dolore usata per esplicitare sentimenti quali coesione sociale, necessità identificativa, esigenze ricreative o cerimoniali al punto che, possiamo dire, la danza è ormai entrata a far parte del DNA umano. Chi, ascoltando un’esecuzione musicale, non muove la testa, un piede o non “tamburella” con le dita seguendone il ritmo? Se questi movimenti, quasi inconsci, compaiano solo raramente nel caso della cosiddetta “musica colta” (classica o sinfonica) quando l’animo è rapito da altre sensazioni, diventano praticamente irrefrenabili in presenza di un brano di musica popolare, quando possono essere interpretati come l’esternazione di una danza intima, la partecipazione personale ad un momento rituale collettivo.
Proprio il termine “collettivo” qualifica la partecipazione ad una danza popolare, quale momento in cui l’individuo si annulla per trasformarsi in portatore dello spirito, della vita intima della società a cui appartiene. E così come la società si evolve nel tempo, anche la danza si trasforma, proponendosi come rappresentazione visibile dello spirito (invisibile) della comunità che la esprime. Dai primi balli popolari, espressione di società contadine ripiegate su sé stesse, che vedono i ballerini generalmente disposti in cerchio e rivolti verso il centro a dimostrazione di una completa chiusura verso l’esterno, passiamo nel tempo ad una dimostrazione di maggior accettazione dello “altro da sé” con l’alternarsi di movenze “centripete” ad altre “centrifughe”, per giungere infine alla completa rottura del cerchio con una disposizione dei figuranti in righe parallele, quasi a sottolineare la completa apertura verso l’esterno. Anche la figura della donna subisce un’evoluzione. Mentre nelle società arcaiche, contadine i due sessi svolgevano lo stesso duro lavoro e, analogamente, nella danza la figura femminile era solo parte del gruppo, con l’evolvere dei tempi e con il mutare della condizione femminile la ballerina assume movenze e ruoli specifici che fanno da contrappunto, quasi un dialogo con la figura maschile.
Ovviamente, come ogni elemento che illustri l’evolvere della società, anche la danza popolare è diventata oggetto di studio ed ha determinato la comparsa di una nuova branca del sapere, la “etnomusicologia”, nata alla fine del 19° secolo in Germania, ma rivolta quasi esclusivamente agli ambiti orientale o africano, visti riduttivamente come esempi di “folklore minore” rispetto alle analoghe esperienze europee. Un giudizio mutato solo in tempi relativamente recenti, sotto l’influenza delle teorie evoluzionistiche di Darwin quando, finalmente, gli aspetti che caratterizzano una comunità cominciano ad essere visti sotto una visuale storica e non comparativista. Ed è proprio l’aspetto storico, che diventa contemporaneamente oggetto di studio e di trasposizione scenica, che connota la ricerca condotta dai due Gruppi invitati da Carla e Giovanni per portare l’attenzione degli astanti sia sui valori formali sia sui momenti di gioia e di spontaneità che caratterizzano la danza popolare, presentata come una “Festa della vita nel castelli, nei palazzi e nelle aie”.
La Società di Danza Circolo Padovano, impareggiabilmente diretta di Adriana Buìco, ha iniziato il suo viaggio nei castelli scozzesi, individuando nei balli (Scottish Country Dances e Scottish Ceilidh Dances) che si svolgevano in quelle lontane lande l’origine di una tradizione, diffusasi poi nel resto d’Europa, che vedeva la danza assurgere al ruolo di evento sociale. Un ruolo sublimato nei palazzi ottocenteschi, quando i grandi balli venivano organizzati per celebrare le date importanti della vita o della città o della famiglia che invitava la “buona società” a feste che dovevano restare impresse nella memoria di tutti i partecipanti. Dopo la visita a “castelli e palazzi”, il Gruppo Risorgimentale Città di Lendinara, guidato in modo altrettanto efficace da Biancamaria Spalmotto, ha condotto tutti i presenti “nell’aia”, per una rivisitazione dei “balli contadini” che ha messo in luce non solo la preparazione e la bravura dei ballerini ma anche l’esplosiva gioia di vivere che traspare dall’atto della danza in sé. Entrambi i Gruppi sono riusciti nell’impresa di coinvolgere un nutrito numero di presenti che, dopo le riserve e le “rigidità” iniziali, si sono abbandonati al vortice dei balli, con esiti spesso più che commendevoli.
Come al solito, la serata si è conclusa con un altro momento di gioia, riservato alle papille gustative dei presenti, che hanno dimostrato di apprezzare molto anche gli sforzi posti in essere dalla Cucina della Bulesca.
Roberto Giacalone